Cala Fico
Ultimi giorni di maggio 2015, ricevo una telefonata: è Giuliana dalla segreteria del Centro Velico di Caprera che mi chiede la disponibilità per partecipare, come istruttore ad un corso bisettimanale di primo livello deriva.
Ultimi giorni di maggio 2015, ricevo una telefonata: è Giuliana dalla segreteria del Centro Velico di Caprera che mi chiede la disponibilità per partecipare, come istruttore ad un corso bisettimanale di primo livello deriva.
A metà giugno, quindi con allievi quasi tutti
teen-agers e in numero intorno ai 40.
Accetto con entusiasmo, perché un corso di
vela fatto ai ragazzi è senza dubbio molto impegnativo ma con notevoli
soddisfazioni.
Eccomi quindi a Punta Coda alla presentazione
del corso.
Il mio capoturno e’ Gil, un ottimo
istruttore, con molta esperienza e un dottorato di sociologia da conseguire; l’esperienza,
per lui, sarà anche oggetto di studio.
L’aiutante di vela è Vittorio, gran
derivista, con una particolare attitudine alla comunicazione con i ragazzi.
I nostri allievi sono più o meno divisi a
metà tra ragazze e ragazzi; su circa 40 solo un paio sono maggiorenni, l’età
media è 17 anni.
Nel 1988 arrivai al primo corso a Caprera
come allievo. Non avevo ancora compiuto 18 anni.
Quando, dopo le presentazioni, ci avviamo
lungo il sentiero che in circa un quarto d’ora conduce allo scalo derive, mi
rivedo, tanti anni prima; il ricordo mi induce ad una certa nostalgia ma anche
felicità per gli anni successivi, per aver avuto l’opportunità di venire tante
volte sull’Isola, prima come allievo e poi come istruttore.
E’ diverso un corso con un numero ridotto di
adulti e un corso dove vi sono allievi adolescenti e in gran numero.
Importanti sono le regole, che vanno subito
portate a conoscenza dei ragazzi, assieme alla certezza che la scuola e,
quindi, gli istruttori non tollereranno eventuali trasgressioni.
È come a scuola, anzi di più, qui, infatti
siamo insieme 24 ore su 24 per due settimane.
Il primo corso è quello, forse che da le
soddisfazioni maggiori; anche gli altri corsi ne danno, certamente; ma, mentre
i corsi successivi portano gli allievi, già consapevoli di che cosa è la vela e
il C.V.C. , a migliorare le proprie capacità, il primo corso fa scoprire ai più
cosa è la vela, il mare, il C.V.C, con tutto quel che ne consegue.
Solitamente al termine della prima settimana,
chi prima, chi dopo, si affronta un momento decisivo, dove un certo momento
scatta qualcosa, una scintilla … e non sei più quello di prima.
La barca diventa la prosecuzione del proprio
corpo, la barra del timone l’estensione del braccio, la muta una sorta di
seconda pelle.
Tutto diventa normale.
Tutto diventa entusiasmante.
Non più l’attenzione alla barca che si muove,
sbanda, i movimenti impacciati.
Adesso tutto è naturale, sicuro, pare
di non aver fatto altro in tutta la vita… già ma quale vita?
Casa, scuola , la stessa famiglia diventano
lontani, nello spazio e nel tempo; il tempo stesso si dilata; siamo qui da
quanto? Anni?
Il verde trasparente dell’acqua richiama,
così come la raffica scura che fa saettare la barca oltre ogni limite in
planate senza fine dentro la schiuma bianca che nebulizza nei colori dell’arcobaleno.
La fatica accomuna gli allievi, all’inizio
spaesati e divisi; i corpi si tonificano: anche i più impacciati acquistano la
consapevolezza delle proprie forze e ci si aiuta.
Una lezione non detta in aula viene imparata
sempre da tutti: il mare è duro, faticoso, non regala nulla: occorre aiutarsi e
diventare lentamente, ma neanche poi tanto, un equipaggio.
Alla fine si è come fratelli, anzi di più perché
quando in inverno ci si incontra nelle nostre città ci si riconosce e uno
sguardo è sufficiente, vale più di mille parole.
In quello sguardo sono condensate mille
sensazioni, esperienze tante miglia, tante onde superate, ma andiamo con calma
siamo solo all’inizio.
La prima settimana è su barche che portano
quattro persone, i “Bahia” del cantiere Performance.
Sono barche adatte all’iniziazione e nei
primi giorni vedono alternarsi a bordo gli istruttori che devono mostrare un po’
tutto …
Dall’armamento dell’imbarcazione alle prime
manovre, dando l’esempio e lasciando poi che l’allievo affronti da solo le
problematiche della navigazione.
L’assistenza è fornita da gozzi e gommoni
pronti ad intervenire ogniqualvolta sia necessario.
Si esce la mattina ed il pomeriggio.
Pranzo e cena in base, con la sala refettorio
sempre animata da mille sorrisi.
Ogni tanto anche qualche pianto; chi teme di
non farcela, chi, magari prende una botta e si fa male, ma difficilmente, anzi
direi mai, ho visto qualcuno arrendersi.
Il gruppo coinvolge e trascina in senso positivo, riassorbe chi si vede in dietro e perduto.
Il gruppo coinvolge e trascina in senso positivo, riassorbe chi si vede in dietro e perduto.
Le lezioni, le più brevi possibile, sono
partecipate, poi in acqua, alle barche, che già dal secondo giorno vengono
chiamate per nome, ulteriori compagni di avventure che si aggiungono all’allegra
brigata.
E quando una barca si rompe e deve essere
portata allo scalo per la necessaria riparazione, viene accompagnata come si
trattasse di una persona , di un amico che si è fatto male; ci si accerta che
Antonio “Rosso Volante” abbia capito il problema e qualcuno vuol sempre restare
fintanto che la barca ritorna in acqua.
La nostra aula è la “cocomeraia” dal tetto di
paglia e dalle pareti aperte sul mare, su Capo d’Orso, il cui faro vediamo
lampeggiare la sera.
Vediamo anche il mare, le onde, le nuvole e
impariamo cosa aspettarci il giorno dopo.
Ragazzi che dopo pochi giorni parlano di
maestrale, di levante e ponente, di onde e raffiche …
Tutto il resto non esiste.
I telefoni, che il primo giorno vedi
onnipresenti in mano agli allievi, spariscono, senza che nessuno dica nulla:
qualcosa di più importante li ha sostituiti, qualcosa che viene percepito come
importante, non detto, non obbligato: c’è e basta; è li e ne parliamo perché ci
tocca, ci chiama, ci tratta in modo adulto: il vento non usa un linguaggio
diverso perché sei un ragazzo: ti schiaffeggia, ti prende a pugni qualunque età
tu abbia, ma è onesto, sai che è così e ti comporti di conseguenza, parlandone,
con immenso rispetto.
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