Tuesday, February 09, 2016

FRATELLI DELLA COSTA

Cala Fico

Ultimi giorni di maggio 2015, ricevo una telefonata: è Giuliana dalla segreteria del Centro Velico di Caprera che mi chiede la disponibilità per partecipare, come istruttore ad un corso bisettimanale di primo livello deriva.
A metà giugno, quindi con allievi quasi tutti teen-agers e in numero intorno ai 40.
Accetto con entusiasmo, perché un corso di vela fatto ai ragazzi è senza dubbio molto impegnativo ma con notevoli soddisfazioni.
Eccomi quindi a Punta Coda alla presentazione del corso.
Il mio capoturno e’ Gil, un ottimo istruttore, con molta esperienza e un dottorato di sociologia da conseguire; l’esperienza, per lui, sarà anche oggetto di studio.
L’aiutante di vela è Vittorio, gran derivista, con una particolare attitudine alla comunicazione con i ragazzi.
I nostri allievi sono più o meno divisi a metà tra ragazze e ragazzi; su circa 40 solo un paio sono maggiorenni, l’età media è 17 anni.
Nel 1988 arrivai al primo corso a Caprera come allievo. Non avevo ancora compiuto 18 anni.
Quando, dopo le presentazioni, ci avviamo lungo il sentiero che in circa un quarto d’ora conduce allo scalo derive, mi rivedo, tanti anni prima; il ricordo mi induce ad una certa nostalgia ma anche felicità per gli anni successivi, per aver avuto l’opportunità di venire tante volte sull’Isola, prima come allievo e poi come istruttore.
E’ diverso un corso con un numero ridotto di adulti e un corso dove vi sono allievi adolescenti e in gran numero.
Importanti sono le regole, che vanno subito portate a conoscenza dei ragazzi, assieme alla certezza che la scuola e, quindi, gli istruttori non tollereranno eventuali trasgressioni.
È come a scuola, anzi di più, qui, infatti siamo insieme 24 ore su 24 per due settimane.
Il primo corso è quello, forse che da le soddisfazioni maggiori; anche gli altri corsi ne danno, certamente; ma, mentre i corsi successivi portano gli allievi, già consapevoli di che cosa è la vela e il C.V.C. , a migliorare le proprie capacità, il primo corso fa scoprire ai più cosa è la vela, il mare, il C.V.C, con tutto quel che ne consegue.
Solitamente al termine della prima settimana, chi prima, chi dopo, si affronta un momento decisivo, dove un certo momento scatta qualcosa, una scintilla … e non sei più quello di prima.
La barca diventa la prosecuzione del proprio corpo, la barra del timone l’estensione del braccio, la muta una sorta di seconda pelle.
Tutto diventa normale.
Tutto diventa entusiasmante.
Non più l’attenzione alla barca che si muove, sbanda,  i movimenti impacciati.
Adesso tutto è naturale, sicuro, pare di non aver fatto altro in tutta la vita… già ma quale vita?
Casa, scuola , la stessa famiglia diventano lontani, nello spazio e nel tempo; il tempo stesso si dilata; siamo qui da quanto? Anni?
Il verde trasparente dell’acqua richiama, così come la raffica scura che fa saettare la barca oltre ogni limite in planate senza fine dentro la schiuma bianca che nebulizza nei colori dell’arcobaleno.
La fatica accomuna gli allievi, all’inizio spaesati e divisi; i corpi si tonificano: anche i più impacciati acquistano la consapevolezza delle proprie forze e ci si aiuta.
Una lezione non detta in aula viene imparata sempre da tutti: il mare è duro, faticoso, non regala nulla: occorre aiutarsi e diventare lentamente, ma neanche poi tanto, un equipaggio.
Alla fine si è come fratelli, anzi di più perché quando in inverno ci si incontra nelle nostre città ci si riconosce e uno sguardo è sufficiente, vale più di mille parole.
In quello sguardo sono condensate mille sensazioni, esperienze tante miglia, tante onde superate, ma andiamo con calma siamo solo all’inizio.
La prima settimana è su barche che portano quattro persone, i “Bahia” del cantiere Performance.
Sono barche adatte all’iniziazione e nei primi giorni vedono alternarsi a bordo gli istruttori che devono mostrare un po’ tutto …
Dall’armamento dell’imbarcazione alle prime manovre, dando l’esempio e lasciando poi che l’allievo affronti da solo le problematiche della navigazione.
L’assistenza è fornita da gozzi e gommoni pronti ad intervenire ogniqualvolta sia necessario.
Si esce la mattina ed il pomeriggio.
Pranzo e cena in base, con la sala refettorio sempre animata da mille sorrisi.
Ogni tanto anche qualche pianto; chi teme di non farcela, chi, magari prende una botta e si fa male, ma difficilmente, anzi direi mai, ho visto qualcuno arrendersi. 
Il gruppo coinvolge e trascina in senso positivo, riassorbe chi si vede in dietro e perduto.
Le lezioni, le più brevi possibile, sono partecipate, poi in acqua, alle barche, che già dal secondo giorno vengono chiamate per nome, ulteriori compagni di avventure che si aggiungono all’allegra brigata.
E quando una barca si rompe e deve essere portata allo scalo per la necessaria riparazione, viene accompagnata come si trattasse di una persona , di un amico che si è fatto male; ci si accerta che Antonio “Rosso Volante” abbia capito il problema e qualcuno vuol sempre restare fintanto che la barca ritorna in acqua.
La nostra aula è la “cocomeraia” dal tetto di paglia e dalle pareti aperte sul mare, su Capo d’Orso, il cui faro vediamo lampeggiare la sera.
Vediamo anche il mare, le onde, le nuvole e impariamo cosa aspettarci il giorno dopo.
Ragazzi che dopo pochi giorni parlano di maestrale, di levante e ponente, di onde e raffiche …
Tutto il resto non esiste.
I telefoni, che il primo giorno vedi onnipresenti in mano agli allievi, spariscono, senza che nessuno dica nulla: qualcosa di più importante li ha sostituiti, qualcosa che viene percepito come importante, non detto, non obbligato: c’è e basta; è li e ne parliamo perché ci tocca, ci chiama, ci tratta in modo adulto: il vento non usa un linguaggio diverso perché sei un ragazzo: ti schiaffeggia, ti prende a pugni qualunque età tu abbia, ma è onesto, sai che è così e ti comporti di conseguenza, parlandone, con immenso rispetto. 


Lo scalo delle derive a Cala Fico.